Concetto ambiguo, quello di responsabilità.
In molte lingue contemporanee, esso si è quasi appiattito su una connotazione negativa, al limitare della colpa: chi è il responsabile di ciò? Chi il colpevole? A forza di essere scaricata, diluita e frammentata, si è affievolito il lato buono, onorevole, del termine, quello per cui la responsabilità è invece una capacità positiva di dare responsi, di fornire risposte certe e rassicuranti.
Questo difficile biennio ha visto la musica, il cinema, il teatro - in una parola l’arte, quella vissuta assieme - affievolirsi come burro spalmato su troppo pane, sotto il carico delle responsabilità. Quasi essa fosse una delle principali minacce all’ordine pubblico. Ci vorrà del tempo prima che l’arte possa tornare a muoversi nell’altro lato della semantica, quello in cui le spetta il difficile ma essenziale compito di rispondere, certa e rassicurante, ai bisogni dello spirito.
In questa edizione della testardaggine, vogliamo allora iniziare la lunga risalita verso il valico. Lo facciamo, come sempre, appoggiandoci agli insegnamenti della narrativa fantastica. Perché qui la responsabilità mantiene ancora forme antiche: sibille, oracoli e condottieri basano la propria etica sulla capacità di responso, una qualità ideale che nei grandi racconti funziona perché c'è fiducia tra chi parla e chi ascolta, senza intermediazioni inutili. Geralt di Rivia, Aragorn, Spider Man, Harry Potter: ogni eroe, a modo suo, deve prendersi le responsabilità delle proprie scelte.
Di fianco a loro, ecco che prendono senso le guide oracolari, capaci di indirizzarli sulla retta via da seguire.
Lasciamoci guidare dai nostri bardi, allora, per scoprire forme diverse dalla nostra quotidiana responsabilità alienata.